pianosa

PIANOSA, I ROMANI E I CRISTIANI

Resti della Villa di Agrippa, I sec. a.c.

L'isola di Planasia o Planaria è menzionata nelle opere di storici ed eruditi latini, Varrone ne attribuisce la proprietà ad un certo M.Pisone (forse un membro della famosa famiglia), Tacito la nomina spesso a proposito di Augusto e nel V secolo Marziano Capella la definisce ingannatrice dei naviganti. Le prime notizie documentate che riguardano Pianosa risalgono all'epoca del secondo triumvirato, (Antonio, Lepido e Ottaviano, 43-34 a.C.), quando Sesto Pompeo invase la maggior parte delle isole italiane, allora importanti per la produzione di grano, impedendo i rifornimenti alla terraferma.

Nel 37 Antonio cedeva la flotta ad Ottaviano, perché eliminasse il blocco navale imposto da Sesto Pompeo. Vipsanio Agrippa, amico, ammiraglio, e futuro genero di Ottaviano sconfisse Pompeo in due battaglie navali presso Milazzo e Nauloco nel 36. In seguito alle vittorie conseguite nelle guerre civili la Sardegna, la Corsica, la Sicilia, e l'Arcipelago Toscano tornarono in possesso di Roma. Ottaviano, che nel 27 a.C. ottiene dal senato il titolo di "Augustus" e nel 19 il potere consolare a vita, nel 6-7 d.C. esiliò a Pianosa, il nipote Agrippa Postumo su consiglio della seconda moglie, Livia Drusilla.

L'esule era figlio della dissoluta Giulia e di Vipsanio Agrippa, che aveva vinto nel 31 a.C. le flotte di Antonio e Cleopatra nella battaglia navale di Azio. Definito da Tacito privo di buone qualità, stoltamente feroce a causa della forza del corpo, ma privo di colpa, Agrippa era stato adottato dal nonno al fine di succedergli. Le accuse di omosessualità e di dissolutezza, furono rese pubbliche da Livia allo scopo di aprire la strada della successione al figlio Tiberio Nerone (avuto da un precedente matrimonio con Claudio Nerone) e allontanarono Agrippa per sempre da Roma.

Augusto era in ogni modo legato ad Agrippa, tanto che nella capitale si sparse la voce, probabilmente ad opera dello stesso imperatore, di una sua visita nell'isola per sincerarsi delle buone condizioni di vita del nipote. L'esilio di Agrippa sull'isola era attenuato da una piccola corte di amici e famigli, e non dovette essere particolarmente duro. Lo storico greco Dione Cassio (II-III secolo) sostiene che il nobile romano passava il suo tempo pescando e giocando ad impersonare Nettuno, forse alludendo a spettacoli tenuti nell'anfiteatro di Pianosa o alle decorazioni del complesso detto dei "Bagni di Agrippa", che probabilmente presentava decorazioni a soggetto mitologico marino su uno sfondo naturale. Secondo Tacito, Livia, volendo troncare del tutto i rapporti tra il marito e l'esiliato, richiamò allo scopo dall'Illiria il figlio Tiberio, divenuto per adozione unico successore designato di Augusto. Mentre quest'ultimo spirava a Nola, la prima impresa del nuovo imperatore fu quella di sopprimere Agrippa attraverso un sicario inviato nell'isola nel 14 d.C..

I recenti sopralluoghi effettuati della Soprintendenza Archeologica della Toscana, lasciano ipotizzare la presenza di un'altra villa marittima di epoca romana, i cui resti potrebbero trovarsi nei pressi del porto attuale. Questa costruzione sarebbe antecedente sia ai "Bagni di Agrippa", cioè i bagni termali e marini e al piccolo teatro, sia alla residenza signorile dello stesso, che probabilmente si trovava più all'interno, anche se nessun ritrovamento ne ha mai confermato l'esistenza. Che un facoltoso romano abbia abitato Pianosa prima della venuta di Agrippa Postumo potrebbe rappresentare la conferma del citato passo di Varrone.

Anni 70', ricercatori all'opera nella catacomba

Sempre del periodo romano è un notevole sistema catacombale, scavato su due livelli, che si estende sotto gran parte dell'abitato, interessando il sottosuolo del paese e di una collinetta per circa tre ettari e mezzo. Una parte della catacomba contiene i sepolcri, un'altra fu probabilmente allargata in seguito, demolendo le pareti di alcune gallerie per creare un ambiente dove fosse possibile la riunione di più persone e la celebrazione di riti.

L'esistenza nell'isola di una comunità cristiana che costruì ed usò la catacomba, reperto archeologico ancora presente, ma molto degradato, è riportata in passato solo da un documento del 1553, a firma del titolare della pieve pianosina: "[...] non so altro che dirgli solo che in quella terra [Pianosa ] vi erano due chiese, una sotto il titolo di S. Giovanni Battista, qual è fuor dalle mura un tiro di moschetto, dove erano seppelliti tanti morti [le catacombe], e nel giorno di festa vi si cantava la Santa Messa. La chiesa di dentro poi era sotto il titolo di S. Nicolao [...]".

Notizie sulla catacomba di epoca tardoantica, databile a non oltre il IV secolo d.C. (in base ad alcuni frammenti ceramici) e non certo piccola, dato che conteneva più di 500 defunti, sono riportate dallo studio del Chierici, che ebbe occasione di visitarla nella prima metà del secolo scorso, quando era adibita a cantina, ricorda infatti il paletnologo emiliano: "Ma vi è un'estesa catacomba scavata nel tufo presso la Darsena di Augusto: oggi serve di cantina, e fra i tini e le botti si veggono le tombe vuote e squarciate, e da qualcuna spuntar le ossa degli scheletri sconvolti. [...] Probabilmente poi, per la venerazione a queste memorie dell'antica fede dei Pianosini, in tempi moderni il parroco prese stanza in un angolo della catacomba, che per verità ha pur esso più aspetto di sepolcro che d'abitazione; ed anche la prima chiesa fu posta lì vicina in una grotta, che non ha però comunicazione colle tombe".

Stemma della Grotta dei Turchi

La presenza di una così numerosa comunità di defunti lascia intuire una altrettanto popolosa comunità di vivi, ma nessun documento ad oggi pervenuto ne attesta la presenza sull'isola, inoltre dai rinvenimenti di monete e resti di suppellettili nei siti romani in superficie è stato accertato l'abbandono dell'isola già nel I secolo, probabilmente poco dopo l'assassinio di Agrippa e troppo presto per una così folta comunità cristiana. Una così notevole presenza potrebbe essere dovuta ad una deportazione per motivi religiosi. Tale ipotesi rimane la più anche se secondo recenti studi la catacomba è databile al III-IV secolo, nel 313 infatti Costantino emana da Milano l'editto di tolleranza per i cristiani e nel 391 il cristianesimo diverrà religione di stato, difficile pensare quindi a dei deportati in questo periodo.

All'interno della catacomba il Chierici ritrovò, in due diverse ramificazioni, due croci scolpite nella roccia, una in forma latina (con l'asta più lunga delle braccia) di circa 30 x 20 cm, l'altra, in forma greca (con l'asta e le braccia della stessa lunghezza) di una decina di centimetri.

Quest'ultima croce era stata tracciata nell'incavo usato per riporre la lucerna, quasi nascosta e lo studioso se ne servì per dedurre l'età della catacomba o almeno di quella diramazione: "E questo, che pare studiato nascondimento del segno de' cristiani, fu già osservato nelle catacombe di Roma e riferito a tempi di persecuzione. Se qui però finisce la catacomba, come ogni circostanza persuade che è questa una delle sue parti più recenti, converrebbe dire ch'essa fosse tutta anteriore al secolo quarto e che l'isola sul finire della dominazione di Roma pagana avesse de'cristiani, ma pochi e nascosti".

Un altro mistero riguardante la catacomba pianosina è la sovrapposizione di più defunti nello stesso loculo, usanza di solito evitata se non espressamente proibita nei primi tempi del cristianesimo, nonché la presenza di alcuni scheletri con anelli di ferro alle caviglie. Questo interrogativo può essere in parte risolto da una lettera dell'archeologo cristiano G. B. de Rossi inviata al Chierici, e allegata al breve trattato sui monumenti di Pianosa (la lettera fa parte di un voluminoso carteggio intercorso tra i due studiosi sulla catacomba tuttora inedito, al quale l'abate Chierici aveva inviato disegni e resoconti sulla sua scoperta), scrive il de Rossi: "La catacomba da lei descritta parmi senza dubbio cristiana. Le croci ch'ella ha osservate con tanto studio scolpite mi sembrano indizio evidente della cristianità del sotterraneo sepolcreto. I poliandri con ossa sovrapposte contro il rito primitivo possono essere abuso del medio evo, quando forse furon in quegl'ipogei sepolti i galeotti, di che si trovò indizi".

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