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QUANDO A PIANOSA C'ERANO I CERVI

National Geographic, 24 febbraio 2014

Quando a Pianosa c'erano i cervi
Scoperti sull'isola fossili di cervidi che potrebbero risalire all'Era Glaciale: il livello del mare molto più basso avrebbe permesso agli animali di giungere dal continente.

Viviana Monastero

cervidi

Cervidi misteriosi
Illustrazione di Stefano Ricci Cortili

Dopo due anni di ricerche sono stati scoperti resti fossili che potrebbero risalire all’ultimo periodo glaciale. È stata un’équipe di ricercatori dell’Università di Siena, in collaborazione con alcuni studiosi dell’Università di Firenze e dell’Università di Catania, a scoprire, a Pianosa, resti di vertebrati, in gran parte cervidi, che si suppone risalgano a circa 18-10 mila di anni fa, periodo che corrisponde all’ultima fase dell’era glaciale.

I ricercatori ipotizzano che questi animali - che, secondo una prima analisi, non sembrerebbero essere riconducibili a nessuna specie nota - siano arrivati a Pianosa dal continente: il fatto che il livello del mare fosse più basso (circa 110-120 metri di profondità in meno) avrebbe, infatti, reso possibile il collegamento diretto fra continente europeo, penisola italiana, Isola d’Elba e Pianosa. Il livello del mare sarebbe poi risalito e, intorno ai 13 mila anni fa, Pianosa sarebbe rimasta nuovamente isolata, come pure gli animali che la popolavano.

L’illustrazione mostra la ricostruzione di un cervide immerso nell’ambiente pianosino; sullo sfondo, la grotta di Pianosa nella quale sono stati ritrovati i fossili.

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Nanismo insulare
Fotografia di Stefano Ricci Cortili

Il cranio quasi completo di una femmina di cervide scoperto a Pianosa durante la campagna di scavo del 2013.

"Ipotizziamo che questi cervidi fossero più piccoli rispetto ai loro simili che vivevano nel continente", spiega Luca Maria Foresi, paleontologo del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, a capo del team di ricerca. "Si tratta di una caratteristica tipica delle faune delle isole e che è da ricondurre al processo di isolamento subìto da questi animali, all’ impossibilità cioè, di avere scambi con le altre popolazioni della stessa specie viventi sul resto del continente".

"Se le nostre supposizioni riguardanti il periodo in cui questi animali vivevano dovessero essere esatte, possiamo immaginare che l’ambiente che li circondava fosse costituito da vegetazione più bassa - a causa del freddo - e da boschi meno imponenti", continua Foresi.

"Ma solo attraverso lo studio dei pollini contenuti nei sedimenti in cui si trovano i reperti si potrà tentare di ricostruire con precisione l’ambiente dell’isola nel periodo in cui era abitata da questi cervidi".

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Fossili mai così intatti
Fotografia di Stefano Ricci Cortili

Il cranio quasi completo di un maschio di cervide, con i palchi restaurati, rinvenuto durante la campagna di scavo dell’anno scorso.

"Già alla fine dell’800 e agli inizi del ‘900 erano stati rinvenuti, a Pianosa, fossili di cervidi", spiega Foresi. "Ma mai così integri, con le ossa così intatte e in connessione fra loro. I reperti più completi riguardano il cranio di due esemplari maschi, che sono stati restaurati, e quello di un esemplare femmina".

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Datare i reperti
Fotografia di Stefano Ricci Cortili

L’area della Grotta di Cala di Biagio nella quale sono stati compiuti gli scavi: nell'immagine sono visibili numerosi resti di vertebrati, fra cui un cranio di cervide pressoché completo di corna.

"Abbiamo compiuto dei tentativi di datazione dei reperti attraverso la tecnica del radiocarbonio, che però non hanno dato esiti positivi", spiega Foresi. "Per questo abbiamo deciso di utilizzare un altro metodo, l’OSL, cioè la luminescenza otticamente stimolata, che prevede la datazione dei sedimenti in cui sono contenuti i reperti. Una prima analisi dei campioni è stata effettuata al Laboratorio di Spettroscopia di Massa del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e al Laboratorio di datazioni OSL dell’Università di Sassari".

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Si continua a scavare
Fotografia di Stefano Ricci Cortili

Le operazioni di scavo nella porzione superiore dei depositi di riempimento, all’interno della Grotta di Cala di Biagio.

"Contiamo di ottenere i risultati della datazione entro marzo", conclude Foresi. "Nella prossima campagna di scavo ci occuperemo, invece, di indagare una parte di sedimenti sepolti, che sicuramente sono più antichi di quelli in fase di studio".

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Recuperare i reperti
Fotografia di Stefano Ricci Cortili

Una ricercatrice al momento del procedimento di setacciatura, cui vengono sottoposti i depositi scavati per isolare e recuperare anche i reperti di più piccole dimensioni.

"Lo studio dei reperti verrà completato al Nordic Laboratory for Luminescence Dating della Technical University of Denmark di Roskilde (DTU), in Danimarca", spiega Foresi, "dove un nostro ricercatore, in collaborazione con gli studiosi della DTU, elaborerà i dati, che potranno confermare o meno le nostre supposizioni. Al momento non escludiamo che i fossili possano risalire a un periodo precedente a quello ipotizzato".

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