pianosa

STOP AL DEGRADO DELL'ISOLA. MAZERBO LANCIA L'ALLARME.

Il Tirreno, 11 giugno 2008

PORTO AZZURRO. Il caso zecche, la chiusura dell'isola, la preoccupazione dei detenuti ammessi al lavoro esterno costretti a rientrare nelle celle di Forte San Giacomo. Eventi che hanno acceso i riflettori sulla situazione critica che sta vivendo Pianosa. Un'isola che, come dice il direttore dell'amministrazione penitenziaria di Porto Azzurro, Carlo Mazerbo, «ha una potenzialità enorme», ma che nelle ultime settimane ha mostrato un'immagine di grande decadenza. Quali sono dunque le prospettive future per l'isola del Diavolo? Ne abbiamo parlato proprio col direttore Mazerbo.

Direttore, pensa che le recenti vicende dell'isola possano dare una sponda a coloro che vorrebbero riaprire il carcere, così come era stato prospettato anche dal procuratore di Agrigento Ignazio Da Francisci qualche tempo fa?

Il rischio esiste, ma credo che sarebbe un grave errore. Il futuro dell'isola non può essere legato in maniera schematica al passato. Pianosa deve continuare ad essere un luogo dove si sperimentano le forme di recupero, dove si forma manodopera qualificata e dove si cerca di coniugare tutela dell'ambiente e reinserimento sociale dei detenuti. In questo senso va letto anche il piano che prevede l'impianto di 15 ettari di vigneti, dove a lavorare saranno proprio coloro che hanno già scontato il resto della pena. Le venti persone oggi sull'isola salirebbero così a una cinquantina. E' solo con progetti di questo genere che si può assicurare lo sviluppo dell'isola.

Tuttavia ci sono ancora molti punti di criticità che devono essere affrontati.

E' vero che questo è un momento di stallo, anche a causa delle difficoltà economiche degli enti locali. E' dunque fondamentale che Parco, Amministrazione penitenziaria, Comune di Campo e Provincia si coordino per un progetto condiviso. I soggetti coinvolti devono riconsocere nell'altro un alleato e non un avversario. Il recupero di Pianosa può segnare una grossa vittoria della gestione pubblica, oppure un fallimento. La partita è aperta e c'è ancora un grosso margine per rilanciare l'isola. Se riusciamo a lavorare con impegno, l'isola del Diavolo potrebbe diventare un progetto pilota che potrebbe essere un riferimento per l'intera Europa.

A 12 anni dalla chiusura del carcere, restano però dei problemi strutturali da risolvere. Primo tra tutti la questione dell'acqua potabile, come ha denunciato anche l'Usi.

Non possiamo nascondere che l'isola viva uno stato di decadenza. Sembra un paese colpito dalla peste. C'è il problema delle rete idrica, che dovrà essere risolto attaverso un tavolo tecnico. Ancora ci sono da affrontare le questione dello smaltimento dell'acqua e dei rifiuti: tutt'oggi manca una rete fognaria adeguata.

Ci sono anche immobili che stanno cadendo a pezzi.

Il paese avrebbe un patrimonio immobiliare di grande valore, dato in uso al ministero della Giustizia e al Comune. Queste strutture, che meritano di essere valorizzate, sono però fatiscenti: case chiuse da anni e corrose dal tempo. Tuttavia oggi siamo ancora in tempo a intervenire, a dare una destinazione a questo partrimonio. Ma tra 10 anni sarà troppo tardi. Gli immobili meritano di essere valorizzati. Si potrebbe pensare ad esempio ad usi didattici. In questo modo l'isola potrebbe dare lavoro alle guide, alle barche e ai detenuti per 8 mesi all'anno e non solo a luglio e agosto.

A causa delle zecche i detenuti sono stati costretti a rientrare nelle celle di Forte S. Giacomo. Il periodo che viviamo non ispira certo ottimismo.

I detenuti ammessi al lavoro esterno dovrebbero tornare a vivere nell'isola entro la fine del mese. Prima però dovremo fare un controllo con tutti gli altri soggetti coinvolti.

Se passerà il reato di immigrazione clandestina, il problema del sovraffollamento delle carceri in qualche modo si ripercuoterà anche su Porto Azzurro.

Se passasse il reato di immigrazione clandestina non solo le carceri, ma anche i tribunali scoppierebbero. Allora, per tutti quei detenuti, ci vorrebbe un'isola grande come la Sicilia. Riaprire Pianosa, con i suoi 300 posti, non risolverebbe granché.

Angela Feo

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