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FOSSA COMUNE DI 500 ANNI FA A PIANOSA

Il Tirreno, 27 luglio 2007

Fossa comune di 500 anni fa a Pianosa
Gli archeologi trovano i resti di cento vittime del pirata Barbarossa
Luigi Cignoni

PIANOSA. Un'enorme fossa contente ossa umane. È l'inaspettata scoperta avvenuta ieri durante la campagna di scavi che sta conducendo la Soprintendenza di Firenze sull'isola piatta, dopo che il muro di contenimento di un terrapieno, posto a pochi metri dal mare, ha ceduto sul fronte che guarda Cala Giovanna. È stato allora che dalla terra è emerso uno strato di ossa umane, resti probabilmente di un centinaio di persone. Sono accatastate le une sulle altre, così in ordine da suffragare l'ipotesi che si tratti proprio di una fossa comune.

Ma le sorprese non sono finite qui. Nello smuovere la terra è emerso un secondo e più profondo strato, anch'esso pieno di ossa umane.
A che cosa ci troviamo di fronte? Stando alle indicazioni rintracciabili negli archivi storici su Pianosa, nella zona non è indicato alcun cimitero.
Bisogna dunque andare indietro nel tempo, sfogliare le vecchie cronache dell'isola per trovare la corretta chiave interpretativa di questo ritrovamento.
Non risulta che la popolazione di Pianosa sia stata mai vittima di qualche forma pestilenziale che abbia decimato in modo così impressionante i suoi abitanti. Bisogna quindi cercare qualcosa che abbia a che fare con le guerre, con le invasioni. E il primo grosso fatto di sangue di cui tutte le cronache locali tramandano l'eco nefasta è quello attribuito ai legni pirateschi comandati da Kahir-Ad-Din di Algeri, detto Barbarossa.

Era il 1534 quando la flotta saracena mise sotto assedio l'isola. Gli abitanti si difesero abbastanza bene dai primi attacchi e dai primi colpi di cannone che non sembravano aver effetto sulla cinta muraria che proteggeva il paese. Ma a bordo si trovava anche un marinaio corso che pochi anni prima era stato sull'Isola e ne conosceva il sistema difensivo.
Le cronache dicono che sia stato lui a consigliare a Kahir-Ad-Din di concentrare il fuoco nel punto più fragile della cinta, dove si trovavano le cisterne di rifornimento dell'acqua. Proprio in quel punto le mura erano più sottili, perché attaccate a esse si trovavano le vasche d'acqua. Fu quindi praticata una breccia proprio in quel punto e la masnada dei pirati entrò nel centro abitato uccidendo tutti coloro che trovava. Seguì una carneficina.

Si narra che si sia salvato solo il pievano, perché non si trovava sull'isola. Furono poi gli stessi abitanti di Campo, quando videro che le vele saracene erano scomparse all'orizzonte, a scendere sull'isola per vedere che cosa fosse successo. E appena sbarcati si trovarono di fronte al terrificante spettacolo. Avvenne allora il pietoso rito della sepoltura dei cadaveri che furono ammucchiati, per motivi igienici, fuori dal paese, proprio nello stesso punto dove ieri sono stati ritrovati.
La Soprintendenza sta cercando qualche elemento che possa datare l'episodio. Finora è stata rinvenuta solo una punta di freccia o di lancia. Può essere che l'analisi conduca gli esperti alla datazione di quanto è avvenuto.

E il secondo strato, quello più profondo? Può darsi che si tratti della distruzione dell'isola praticata per mano della Repubblica di Genova attorno al XII secolo, in conseguenza della vittoria sulla flotta pisana alla Meloria.

Sono tutte supposizioni alle quali manca il riscontro della scientificità storica. Per adesso si continuerà a scavare attorno ai resti di quella che fu la villa romana di Planasia, di Agrippa, sperando di imbattersi in qualche oggetto che possa rivelarsi spia del tempo.

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