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PIANOSA E IL MISTERO DELLE CATACOMBE

Il Tirreno 2 luglio 2003

Pianosa e il mistero delle catacombe
Nell'isola che era supercarcere, tra segreti millenari e fantasmi della storia recente

PIANOSA. Si arriva con una piccola moto-nave, poco più di peschereccio. L'isola è vuota se si fa eccezione per un paio di agenti della Forestale ed altrettanti della polizia penitenziaria. Tutt'intorno, ci avvertono, sta franando ogni cosa: non entrare negli edifici, non salire sulla balconata che si erge sul mare. Pianosa è un'isola fantasma che ha uno strano fascino. Dal mare sembra che un'ondata sia in grado di portarsela via. Da terra ci offre una storia millenaria tutta da scoprire, conclusa col muraglione del supercarcere del generale Dalla Chiesa.

Oltre le mura del carcere ci pare di percepire i misteri di una parte della storia recente del nostro Paese. Ma lì, a due passi, dalla piccola darsena, ce n'è uno ancor più difficile da decifrare. Una catacomba dei primi decenni del IV sec. Oltre mille sepolture riportate alla luce in questi ultimi anni, riscavate tra i sedimenti dei liquami provenienti dal carcere. Un compito che si è assunto il professor Gabriele Bartolozzi Casti, ispettore della Pontificia commissione di archeologia sacra. Gallerie che hanno riportato la mente dell'archeologo soprattutto alla somiglianza con la catacomba di Santa Savinilla di Nepi, ma anche con altre in una piccola isola lontana dell'Etruria meridionale. Sì, anche in questo Pianosa e un "unicum". Se cerano così tanta tombe, chi erano e da dove venivano i componenti della comunità cristiana che l'abitarono? E' questo il mistero più affascinante.

Chi ha scavato la catacomba di Pianosa - come conferma Bartolozzi Casti - era in pieno possesso dell'arte, forse appresa direttamente a Roma, ed ha rispettato tradizioni e diritto romano. Perché, ad esempio, in una piccola isola lontana dall'impero preoccuparsi della proprietà altrui, anche sotto terra. I cristiani pianosini lo hanno fatto. Per questo le gallerie scavate da Bartolozzi Casti si interrompono per ripiegare poi a gomito, proseguendo magari in epoca successiva.

Di poco aiuto sono le notizie storiche, rintracciate perlopiù da Bartolozzi Casti nell'Archivio segreto Vaticano. La prima e forse la più importante, viene da una relazione sulla distruzione di Pianosa da parte dei franco-turchi resa nel 1553 dal pievano Diodoro Spadai al vicario generale di Alessandro Farnese, nipote del papa Paolo III e "vescovo amministrativo" di Massa Marittima. E' il pievano che racconta: "Io avevo due chiese, una entro le mura e l'altra fuor dalle mura un tiro di moschetto, là dove sono seppelliti tanti morti". Un luogo di culto nella catacomba? "Non è un fatto strano, ce ne sono tanti esempi", spiega Bartolozzi Casti. E deve essere dei tempi del pievano Spadai anche il primo uso di una parte della catacomba a cantina, visto che Gaetano Chierici, paleoetnologo modenese che nel 1835 visitò la catacomba, la trovò in parte utilizzata come "cantina per vino nero scelto" e di un "oleum per il parroco".

Se le sepolture spiegano molto su morti, nessuno è però in grado di risolvere il mistero dei vivi. Non esistono catacombe in tutta l'Etruria settentrionale. La più vicina è a Chiusi. Da dove provenivano quei cristiani, tanti da giustificare una così vasta sepoltura? Persone sbarcate sull'isola al seguito di Agrippa che poi hanno formato una comunità? Tra la villa romana e la catacomba ci sarebbe un vuoto di almeno tre secoli. Che fossero allora cittadini indesiderati di Roma abbandonati sull'isola? O piuttosto avamposti lasciati a difendere rotte fondamentali? Risposte potrebbe venire da scavi sistemati a Pianosa, almeno prima che tutto frani per giustificare magari qualche appetito speculativo.

Giorgio Pasquinucci

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