pianosa

DA ISOLA DEL DIAVOLO A LABORATORIO NATURALE

Lisola 27 marzo 2001

Da isola del Diavolo a laboratorio naturale
La particolarità territoriale di Pianosa ha spinto il Cnr a sceglierla per studiare l'evoluzione dell'ambiente mediterraneo in relazione al rapido mutare del clima e delle condizioni ambientali

L'ISOLA DI PIANOSA diventa il primo laboratorio naturale italiano che tenta di conoscere l'effetto del clima sull'ambiente mediterraneo. L'importante passo in avanti è stato compiuto dall'istituto di Biometeorologia del Consiglio azionale delle Ricerche di Firenze, e sull'isola piatta del Tirreno ha trovato terreno fertile per condurre i propri studi. Nessun altro luogo dello Stivale avrebbe potuto essere più utile a una ricerca scientifica di questa natura.

Il passato di colonia penitenziaria e la più recente destinazione a carcere di massima sicurezza, luogo di detenzione per camorristi, mafiosi e brigatisti degli anni Settanta, hanno salvato quel lembo di Toscana dalla presenza invadente dell'uomo. Non a caso l'antica Planasia è stata tristemente ribattezzata come Alcatraz italiana, una realtà tagliata fuori dal mondo, mantenuta in vita solo per favorire l'espiazione delle colpe. Allo stesso tempo, però, l'isola non è mai venuta meno l'attività agricola, portata avanti dagli stessi detenuti. D'altra parte la particolare condizione climatica ha favorito notevolmente la produzione ortofrutticola.

A risentirne irreparabilmente è stata la natura selvaggia, forzatamente ridimensionata dall'intervento agricolo. A riportare a nuova vita Pianosa è stata, senza dubbio, l'istituzione del Parco Nazionale. Una tappa importante che potrebbe permettere a questo piccolo gioiello dell'Arcipelago toscano di riacquistare l'identità perduta. Ragion per cui i ricercatori del Cnr si sono chiesti se l'isola potrà mai riprendere il suo aspetto antico e riconquistare gli spazi a suo tempo sottratti, in relazione al rapido mutare del clima e delle condizioni ambientali. In pratica, si potrà mai ripristinare l'aspetto tipicamente mediterraneo dopo che le condizioni di base sono state modificate? E' quanto si domandano gli addetti ai lavori del progetto Pianosa-Lab, nato dalla collaborazione tra undici istituti del Cnr, l'Ente Parco e le università di Pisa, Firenze, Udine e Napoli. E dai primi risultati, sembrerebbe proprio che la vegetazione naturale abbia già cominciato a crescere, allargandosi a macchia d'olio sul territorio perduto.

Anche se per avere risposte più concrete bisognerà tenere conto di lunghi tempi d'attesa Già oggi, però, viene da chiedersi se, una volta rigeneratasi e irrobustita nelle difese, la natura saprà arginare l'inquinamento e il dissesto ambientale. Pianosa, comunque, è pronta ad andare incontro a un nuovo destino, forte del supporto scientifico. L'ottimismo all'interno dell'istituto di Biometeorologia non manca perché la conformazione dell'isola è ideale per lo studio intrapreso. Lo conferma il coordinatore del progetto, Francesco Primo Vaccari. "Da un punto di vista scientifico, le più recenti tecniche di scambi gassosi tra terra e aria sono studiate su aree pianeggianti - spiega il dottore - e le ultime strumentazioni utilizzate rispondono in maniera ottimale in determinate condizioni.

Innanzitutto, la regolarità dei venti su una superficie priva di rilievi montuosi e collinari permette un margine di precisione tecnica sicuramente maggiore, in secondo luogo c'è la sicurezza d'operare in un sistema isolato e non antropizzato. Se aggiungiamo l'aspetto forzatamente colturale di Pianosa, sfruttata fino a qualche tempo fa in maniera intensiva da un punto di vista agronomico, si capisce come il sito sia fortemente esemplificativo per tutto il territorio ricoperto da macchia mediterranea".. L'ex Alcatraz rappresenta quindi un punto di riferimento importante per una valutazione di questo genere, sia per il fattore del clima che per la completa assenza dell'uomo. Un sistema dove la natura è lasciata libera di ricrearsi sotto gli occhi di appositi sistemi di monitoraggio, senza intaccare minimamente l'ambiente.

"Il progetto ha una duplice valenza - continua Vaccari -. Può infatti essere allargato a tutte le zone in cui è riprodotto lo stesso aspetto boschivo, che al contrario di quanto si pensa non è peculiare solo delle nostre coste italiane. Inoltre lo studio va letto nella sua interdisciplinarietà. Le risposte che darò, a distanza di anni, prevedono la sinergia delle forze tecniche e scientifiche che abbracciano tutti gli aspetti dell'ecosistema, dal suolo all'atmosfera".

Se il lavoro dei 25 soggetti coinvolti nel progetto può proseguire, questo è anche grazie alla totale disponibilità dimostrata dall'Ente Parco guidato da Giuseppe Tanelli, che ha dato la possibilità di raccogliere su Pianosa i ricercatori più qualificati del panorama nazionale, ma anche dal Comune di Campo nell'Elba, che ha dato il suo contributo nella parte logistica.

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