pianosapianosa

IL GABBIANO AMMAESTRATO

Il Tirreno, 7 marzo 1997

pianosa - la Scoletta

La prima volta che capitammo da Scipione alla Fetovaia fu per puro caso: non ci aveva soddisfatto la sistemazione nell'albergo in cui avevamo prenotato.
La mattina successiva al nostro arrivo, stavamo facendo colazione sul terrazzo ed io stavo spiegando ai miei due bambini che dietro la punta della Fetovaia c'era Pianosa.
Da qui non la potete vedere poiché è nascosta alla vostra vista; ma se fate i bravi, domani o dopo, vi porterò a Pomonte da dove, nelle giornate limpide, si può vedere così bene che si possono distinguere anche le case e si ha l'illusione che stendendo la mano la si possa toccare. Pensavo a Pianosa, alla mia fanciullezza felice ed in quel mentre un gabbiano sopra di noi lanciò uno stridulo richiamo, volteggiando maestoso nel cielo, lasciandosi trasportare dalle correnti ascensionali; trasalii e mi venne alla mente il gabbiano ammaestrato di Pianosa.

Bambini, dovete sapere che, quando ero un po' più grandicello di voi, alcuni pescatori ponzesi avevano trovato un piccolo gabbiano e lo avevano allevato così bene che se ne stava al porto buono, buono come fosse una gallinella. Noi bambini dell'isola facevamo a gara per dargli da mangiare i pesciolini che pescavamo, anche con le mani.
Ma va là, papà! Con le mani?
Si con le mani. Dietro al porticciolo c'era una spiaggetta con l'acqua così limpida dove guazzavano tanti pesciolini. Nell'acqua c'erano dei mattoni forati dove, ogni tanto, si nascondevano dei piccoli ghiozzi, allora bastava mettere una manina da una parte ed una dall'altra ed il gioco era fatto: sollevando il mattone si pigliava il pesciolino. Il gabbiano appena scorgeva la motobarca dei suoi padroni che si avvicinava al porticciolo si alzava in volo e andava a posarsi sulla spalla dell'uno e dell'altro degli uomini ritti a prua, come volesse salutarli, poi si collocava sulla punta estrema della stessa, là dove la parte inferiore tagliava le onde, il vento gli gonfiava le piume del petto e quando si avvicinava al molo emetteva il suo grido acuto quale segnale di arrivo e con il petto gonfio di vento pareva si pavoneggiasse.

Dietro di me si era fermato Scipione, che in quel momento serviva in tavola (allora non sapevo chi fosse, ne come si chiamasse). Signurì, uno di quei pescatori ero io, proprio io, il più guaglione! Disse tutto eccitato. La barca era di mio padre e di mio zio e c'erano pure i due miei cugini più grandi di me. Il gabbiano l'avevo trovato io a Montecristo una volta che ci eravamo fermati a Cala Maestra per fare rifornimento di acqua. Non sapeva ancora volare e mi fu facile acchiapparlo. L'avevo portato sulla barca e siccome aiutavo mio zio in cucina lo nutrivo con le interiora dei pesci che cucinavamo, gli ho insegnato a volare e mi era diventato amico e fedele come un cagnolino, dove ero io là era lui. Alle volte lo lasciavamo al porto, come dicevate voi, ma il più delle volte lo portavamo a pescare, si a pescare con noi perché ci aiutava, si alzava in volo e quando girava torno torno voleva dire che là c'era un branco di pesci. Noi all'inizio non l'avevamo capito, poi un giorno abbiamo buttato per caso le reti là dove ci aveva indicato lui.

I miei bambini ascoltavano sgranando gli occhi ed io e mia moglie non eravamo di meno, inoltre io pensavo: "Dopo quasi un quarto di secolo che ho lasciato Pianosa potevo capitare in cento altri alberghi qui all'Elba, il destino ha voluto che capitassi nell'albergo di un ex pescatore che ha vissuto nell'isola della mia fanciullezza.
Scusatemi, ma voi chi siete? mi chiese, interrompendo il racconto.
Sono uno dei figli di un medico che ha lavorato a Pianosa dal '34 al '44 e che è morto sotto il bombardamento della direzione del carcere. gli risposi e lei come si chiama?
Mi chiamo Scipione e mi ricordo bene di vostro padre, mi ha anche curato quando le spine di un riccio mi avevano causato una brutta infezione al piede.
Gli presentai la mia famiglia e lui chiamò sua moglie Milla, elbana di San Piero.
Si sedette al nostro tavolo e continuò il suo racconto: Eh, gli debbo la vita a quel gabbiano!
La vita? Come mai? gli chiesi.

Forse già sapete che dopo l'otto settembre del '43 lasciammo Pianosa e venimmo a Marina di Campo. Continuammo a pescare e a vendere il pesce; ma la vita era diventata difficile, a Pianosa il pesce pescato era bello che venduto alla colonia, qui bisognava trovare chi lo comprasse e poi il pericolo dei mitragliamenti, le mine, i permessi di pesca... Che vita dura! Un giorno ero nella piana in faccia alla spiaggia e mi ero appena calato i calzoni per fare i miei bisogni, sulla spalla avevo il mio gabbiano, quando mi si para davanti un soldato tedesco armato di tutto punto, l'elmetto in testa, mi punta il fucile e mi intima: "Mani in alto!" Figuratevi come ci sono rimasto, le gambe mi cominciarono a tremare, mi alzavo i calzoni, poi li lasciavo per alzare le mani e quelli se ne calavano... così per due, tre volte, il gabbiano sulla spalla, la scenetta deve essere stata buffa assai se non fosse che c'era poco da ridere in quel momento e non rideva il tedesco, quello faceva sul serio. In un attimo ho pensato a mille cose: "Sono un giovanotto senza documenti, questo mi porta in caserma, poi mi spediscono a lavorare in Germania...

Ad un tratto il gabbiano, sembrava mi avesse letto nel pensiero, si avventò contro la testa del tedesco, quasi volesse cavargli gli occhi. Quello, preso alla sprovvista, annaspava, imprecava e cercava di scacciare quel maledetto uccellaccio, io afferro con le due mani i pantaloni e via a gambe, più veloce che potevo, saltavo come una lepre cespugli di rovo e di rosmarino, zigzagando per non farmi colpire se avesse sparato, il cuore in gola che sembrava mi dovesse scoppiare da un momento all'altro e un unico pensiero: salvare la pelle. Dopo un po', ma a me è parso un secolo, io non vidi e non sentii più lui e lui me; ma non vidi più neanche il mio gabbiano. Non ho mai saputo se il tedesco l'abbia ucciso o che fine abbia fatto. A me piace pensare che si sia salvato anche lui e non avendomi più visto mi abbia cercato magari anche a Pianosa e una volta li, ormai libero e senza padrone, abbia fatto il nido alla "Scoletta" o al 'Marzocco", ve li ricordate, Signurì?

Lucio Fazzari

torna indietro